E’ Sanremo che fa la Ferragni

Sanremo è finito da qualche settimana, ma la risonanza mediatica di questa 72’ edizione del festival della canzone italiana sembra in costante uploading.

Quel “Pensati libera” sulle spalle della Ferragni, è ora tra i meme più commentati di Instagram e l’aprifila di post LinkedIn sull’empowerment femminile.
Detto questo, non sono qui a sputare veleno contro la Ferragni, ma a puntare i riflettori del mio pensiero su Sanremo. Sono qui per parlarti di come il frame nella comunicazione è tutto; per il pubblico, per il mittente e per quello che comunica. E come sappiamo, ciò che percepiamo è totale, è un mix di condizionamenti anche se non ne siamo perfettamente consapevoli.

Sanremo è un grande palcoscenico

Forse ci siamo dimenticati una cosa importante.
Che cos’è il festival di Sanremo?
Che cos’è l’Ariston?
Chi va a Sanremo sale su un … ?
Esattamente: un grande palcoscenico e si esibisce.
Fa spettacolo.
E come tale segue le logiche del business dell’immagine.
Sanremo è diventato un catalogo dei temi più hot del momento, messi in scena grazie agli esponenti più influenti del momento.
Persino i cantanti portano personaggi e non sperimentazione ed innovazione musicale. Invitare la Ferragni a parlare di libertà e autorealizzazione femminile è stata una spunta sulla tematica; un bel modo per piegarsi alle vanity metrix e ai desiderata degli sponsor.
Un palcoscenico musicale che rafforza il ruolo degli influencer e, con il loro messaggio, guarda la complessità del reale attraverso un buco della serratura strettissimo: quello dei privilegiati.

 

Il palcoscenico: luogo di privilegio

Alzi la mano chi si sente libera, o fa di tutto per sentirsi tale combattendo contro il muro del maschilismo ed è andata sul palco dell’Ariston? Nessuna.
Quando Sanremo mette la spunta al tema dell’inclusione attraverso i privilegiati, fa un bel pinkwashing.
Quando la Ferragni omette dal suo discorso e dalla sua immagine il contesto in cui tutto è iniziato e quello dei social media che l’ha poi esaltata, omette un buon 90% di quello che gli altri percepiscono di lei e del suo messaggio. Che tutto è possibile, basta volerlo. Se non ci riesci, non lo ha voluto abbastanza. Meccanismi automatici di cui la vita se ne strafotte; ma che per imprinting generano frustrazione.
La Ferragni ha detto esattamente ciò che è, per questo è da premiare in termini di coerenza e professionalità; ma la Rai non ha assolto a nessun compito sociale di sostanza al di là della facciata.

 

La RAI è pur sempre un’azienda nel 2023

Concludo parlando di impresa. Sanremo è il prodotto culturale di un’azienda: la RAI. Con il festival dei plagi, delle crisi di rabbia sul palco e degli influencer, in che modo la RAI si è fatta portatrice di un profondo messaggio sociale? Meglio: in che modo ha fatto del festival un contesto inclusivo al di là dell’immagine?
Per me non lo ha fatto. Per me siamo rimasti al paradigma dell’esclusivo; tipico della società italiana cresciuta sulle prime forme di pubblicità. Tuttavia non è questo che la Comunicazione chiede oggi alle imprese per i suoi consumatori. Oggi alle aziende è richiesto di agire l’inclusione e poi di raccontarla e di farlo attraverso la propria community. Il bottom up per intenderci.

Spero nel festival 2024, un po’ meno affollato di stereotipi e più ricco di sostanza anche se verrà seguito da pochi perché pieno di sconosciuti, ma più simili a noi e alle nostre vite.